Il merlo e la mamma improvvisata

Li abbiamo aiutati così | 7 commenti

Per la rubrica “Li abbiamo aiutati così”, Lisa ci racconta la bellissima avventura della Fra, un piccolo merlo caduto dal nido, una storia d’amore, di mamme e del saper lasciare andare.

Era circa fine maggio. Giornate con venti molto turbolenti. Mia figlia e gli amichetti portano a casa un pulcino di merlo, caduto di certo dal suo nido. Lei, mia figlia, mi guarda supplichevole; giura che se ne sarebbe occupata lei in persona; salta per strapparmi il permesso di tenere questo merlo. Non vorrei ma mi convince. Grazie ad un amichetto della mia bambina otteniamo in 10 minuti una gabbia e del mangime adatto a questo pulcino.

Qualcuno ha un’idea di come si alleva un pulcino di merlo? E’ facile accoglierli in casa nel momento in cui ci si fa trasportare dall’essenza della crocerossina, ma crescerli facendoli stare bene è tutto un altro paio di maniche. Volevo che crescesse in salute e sereno, tranquillo in questa casa di umani. Volevo che imparasse a nutrirsi da solo e a volare, ottenendo la propria indipendenza e libertà; ottenendo un futuro. Lo volevo “salvo” in tutto e per tutto. Sapevo di non avere la minima idea di come fare.

La Fra, pulcino di merlo femmina nella sua gabbietta (foto di Lisa Bortolotti)

Ho dovuto imparare presto. Abbiamo appreso che il pulcino era una femmina (dal colore del piumaggio) e subito è arrivato il nome giusto: Fragolina. Lo ha scelto mia figlia. Per me è diventata “la Fra”.
Presto mi sono dovuta occupare quasi in esclusiva della Fra, ad eccezione dei vermi: mia figlia si è defilata in pochi giorni. La Fra ed io eravamo spesso sole in casa: ho dovuto capire subito quando pigolava disperata per la fame, ho preso l’abitudine a tenere d’occhio l’orologio per nutrirla nei tempi giusti con una precisione quasi svizzera, ero quella che capiva il suono della sua soddisfazione da pancia piena, dovevo immaginare quando fosse opportuno darle da bere, le davo la buona notte alla sera.

Due o tre cose sui merli me le ha spiegate lui, l’amichetto “animalista” di mia figlia, quello della gabbietta: come darle da bere, come pulire la gabbia, che doveva fare il bagnetto (un bisogno essenziale per gli uccellini e di cui ho privato la Fra, per ignoranza, per diversi giorni).

Poi c’è stato internet, al quale ho chiesto consulto: ho scoperto che avrei dovuto insegnarle a trovare il cibo e poi a volare. Io???? A volare??????
La Fra aveva solo me come mamma. Una inespertissima e insicura mamma adottiva. Dovevo fare del mio meglio e in qualche modo riuscire nell’impresa.

Dopo pochi giorni, Fra cresciuta e molto più sicura di sé, si è fatta forte l’esigenza di farla uscire dalla gabbia. Ma in quale stanza? L’abbiamo liberata in cucina e ha iniziato il suo percorso per imparare a volare. Saltellava ovunque nella stanza: dapprima sul pavimento, poi, con balzi più grandi, sulle sedie e nei vasi delle piante.

Ha sporcato ovunque, abbiamo tenuto fuori il gatto (super contrariato di non essere più il re della casa), ha monopolizzato l’uso della cucina … Insomma, è stato bellissimo. Dico davvero!

Cinguettava, saltava, ci veniva in braccio e soprattutto chiedeva il cibo, frutta compresa, con quel suo sbattere l’aluccia sul bancone della cucina!!! Ah, quando ha scoperto la frutta!! Fragole, ciliegie erano le sue preferite. E come cinguettava felice!!! A pancia piena, poi, il sonnellino.

La Fra, comodamente seduta sulla spalliera della sedia (foto di Lisa Bortolotti)

In poco tempo l’abbiamo introdotta all’esterno, per farle prendere confidenza con il giardino e vegliando costantemente sulla sua sicurezza per evitare l’attacco di altri uccelli o di gatti, il nostro compreso. Le porte erano costantemente aperte per consentirle una fuga d’emergenza. Lei ha imparato presto a nascondersi sotto le piante, privilegiando il rosmarino: le gazze erano il suo più grande terrore. Nello stesso periodo ha anche imparato a procacciarsi il cibo da sola anche se preferiva comunque essere imboccata da noi come le migliori delle principesse viziate: ti guardava, inclinava la testa e faceva quel “cip” inequivocabile accompagnato dal gesto dell’ala. Ruffiana di prim’ordine!

Ci capivamo noi. Ero un po’ la sua mamma.
Sapevo che lei sapeva che ero solo la sua mamma adottiva, temporanea.
Ero io quella che non l’aveva ben chiaro. La temporaneità della cosa intendo. Per noi umani quando diventi mamma lo sei per sempre …

E’ stata un po’ una magia l’imparare a capirsi. Guardarsi, ascoltarsi e non parlare.
Comunicare. Senza le parole.
E’ stato straordinario: la facilità, la velocità e l’efficacia con cui tutto questo è avvenuto!
Mi chiedevo come avrei mai potuto fare a capire le esigenze di un pulcino. Non sapevo neppure se avrebbe saputo chiedermi la cosa giusta. Sciocchezze da umani!

Si è creato un legame. La guardavo e capivo. E lei ci osservava, capiva come funzionava il mondo (retrogrado) degli umani e imparava come dirci le cose. C’è in loro un’intelligenza superiore.

Le parole non sono sufficienti per descrivere questo fenomeno. Credo che diventiamo tanto più comunicativi quanto più abbandoniamo la parola per lasciare spazio alle sensazioni interiori.

La Fra mi ha insegnato così tanto in questo senso! E’ come se mi avesse catapultata in una dimensione superiore e ora sentissi tutto il peso limitativo del modo umano di comunicare, fatto di parole e filtri.

Ancora di più mi ha insegnato cosa vuol dire “lasciare andare”. Mi sono sempre considerata una mamma che sa creare il giusto distacco con i suoi piccoli, che crescono e devono prendere la loro strada. Non sono espansiva e nemmeno mielosa. Lei mi ha mostrato che così non sono.

Ormai La Fra volava in giardino per brevi tratti e ogni giorno di più prendeva sicurezza e forza. Alla sera la riportavamo in casa, ma al tramonto si agitava parecchio: nella gabbia, pronta per la notte, si calmava solo con un panno a coprirle la visuale. La cosa non mi piaceva affatto ma era necessaria per evitare che si rompesse il becco contro il ferro della gabbia, svolazzando all’impazzata come fosse posseduta.

Quella sera in particolare era molto agitata e, appollaiata al mio dito, l’ho portata fuori, con l’intento di farla sfogare un po’ prima di metterla nella gabbia per la notte. La notte, la pericolosa notte.
Fra era diversa. Era agitata quella sera. Ma soprattutto vedevo che pensava qualcosa, qualcosa di impellente e necessario, qualcosa che era più forte di lei. Qualcosa, ora lo so, che si chiama “istinto”.

La Fra

La Fra davanti alla finestra. Sarà ora di lasciare il nido, la casa?! (foto di Lisa Bortolotti)

E’ successo velocemente. E’ volata via. In due salti è volata su un albero dei vicini.

Ormai era quasi buio e non rispondeva ai miei richiami. Non voleva tornare.
Ha passato la notte fuori. La pericolosissima notte. Io mi sono sentita malissimo. Mi sono sentita una pessima madre, preoccupata, sola e abbandonata.

Il mattino dopo La Fra si è presentata puntuale. Questo è stato solo l’inizio perché nel giro di qualche giorno ha preso sempre di più le distanze da noi finché non è più tornata in modo definitivo.

Tre giorni. In tre giorni è cambiato tutto. Ha smesso di farsi toccare e sempre di più ha messo metri tra noi e lei. Ha smesso di chiedere vermi e poi di beccarli una volta stanati. Ha smesso di presentarsi sotto il portico.
Mio marito ha raccontato che una mattina, l’ultima dei tre giorni, La Fra si è presentata in volo in giardino ed è stato come se dicesse “addio”. L’ultimo saluto. Come se fosse finito un tempo, fosse suonata una campana o una sveglia. Non l’abbiamo più vista.

Non sappiamo se viva ancora qui attorno o sia andata più lontano e non so se riusciremmo a riconoscerla adesso che il suo becco sarà di certo guarito, ma io osservo sempre i merli qui attorno nella speranza di incontrarla.

Il suo istinto l’ha portata a “prendere il volo”.  Però, dice mio marito, ci è venuta a salutare. A ringraziare. Già …

Il mio istinto umano mi fa dire “poteva comunque rimanere qui in zona, le avremmo dato cibo, soprattutto in inverno, e anche un riparo esterno se fosse stato necessario. Avrebbe potuto … portare i suoi pulcini … “.

Ma io sono un essere umano e di certo ho un’immagine dell’amore diversa da quella dei merli. So che La Fra ci ha amati. Lo so. Ma poi la Vita doveva andare avanti e lei è un merlo, selvaggio e fiero. Lo dico con le lacrime, perché mi manca tanto: manca la grandezza dei sentimenti che ha suscitato in me, della comunicazione così forte al di là delle parole, degli insegnamenti che un esserino così piccolo mi ha dato. Mi manca quella dimensione “ulteriore” nella quale riuscivamo a relazionarci.

Dice il detto che il battito di ali di una farfalla produce uragani dall’altro lato del mondo. Noi abbiamo salvato addirittura un merlo e chissà, mi chiedo, in proporzione, come cambierà il destino del mondo per questo.

“Fra, non so dove sei. Racconta agli altri merli la tua esperienza, tramandala ai tuoi pulcini, tutti quanti. Dì loro che sì, noi umani nel complesso, come specie, siamo un disastro, una grande tragedia naturale, ma che presi uno a uno, talvolta, non siamo poi così male, non siamo così da buttare. Non è facile ma da qualche parte, dentro di noi, sappiamo essere buoni. Dì loro di perdonarci tante colpe: siamo stupidi, andremmo educati, trasformati, evoluti. Non perdete le speranze. Dì loro che possiamo anche far qualcosa di buono. Talvolta.”

Sono Lisa Bortolotti, economista e systems thinker: significa che mi occupo di sistemi (naturali e non) e di pensiero sistemico applicato alle aziende.  Ho un blog, Cappuccetto Bianco, in cui tratto i temi a me cari.
L’incontro con il mondo animale è sempre una scoperta: convinta che gli animali non vadano umanizzati nè antropizzati, l’occasione di vita insieme mi regala sempre opportunità di crescita.
La Fra è entrata nella mia vita per caso e sempre per caso mi ha toccato il cuore: se rimaniamo aperti a ricevere scopriremo che il mondo animale (e quello vegetale e minerale) hanno molto da insegnarci e, ne sono certa, siano sistemi evolutivamente molto avanzati.

Vi è piaciuta la storia di Lisa e della Fra? Ne avete una da raccontare anche voi? Leggete qui e partecipate 🙂

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Sabrina Lorenzoni

Sabrina Lorenzoni

Biologa ambientale

Blogger e green content writer, mi occupo di comunicazione digitale e divulgazione scientifica nei settori ambiente e biosostenibilità.

7 Commenti

  1. maria cavallaro

    bellissima esperienza, anche noi abbiamo vissuto una esperienza simile con un pulcino di merlo caduto nel cortile, la sua mamma se ne è presa cura fino a quando ha preso il volo, è stata anche per noi una bella esperienza, ci siamo affezionati. ciao

  2. Sabrina

    Grazie del commento, Maria. Mi piace questa rubrica perché mostra come, anche piccoli salvataggi, possono essere una grande esperienza

  3. Antonella

    Sto vivendo la solita esperienza in questi giorni…mi vola incontro quando entro nella mansarda …alta è areosa..per adesso mangia solo dalla mano ma qualche volo lo fa…ho paura che non si procurerebbe cibo da sola…anch’io sono una mamma e questa merletta ha riportato fuori tutti qui sentimenti e timori…pensavo di essere la sola e mi ha fatto piacere vedere che invece siamo in parecchie

  4. Sabrina

    Grazie Antonella per il tuo commento, a quanto pare è un comportamento abbastanza frequente nei merli

  5. Mery

    Ciao Sabrina, sto vivendo la tua, dolce e amara, esperienza. Sto accudendo un pullo di merlo e informandomi come renderlo indipendente…essendo una settimana che lo sto nutrendo, mi sono trovata a leggere il tuo racconto. Non nego che mi sono scese le lacrime e provo il tuo stesso sentimento, ma so che è giusto lasciarla libera di vivere la sua vita. La mia, (anch’essa una femmima) l’ho trovata in giardino che gironzolava tranquillamente, ho dovuto portarla al riparo in casa, xkè una coppia di tortore che hanno nidificato su una mia pianta, quando vedevano la merletta saltellare qua e là, la attaccavano.
    Vista la crescita che ha fatto, la sto abituando a cercarsi i vermetti in un terrario appositamente costruito, e appena sarà del tutto autonoma…sò che verrà il giorno del distacco, mi rattrista…ma è giusto così! Ci spero anch’io che venga a trovarmi qualche volta…e quando vedrò delle merle scendere nel mio giardino, mi illuderò, non avendone la certezza, che possa essere lei. So solo che è stato un bell’incontro e resterà un dolcissimo ricordo! un Saluto. Ciao

  6. Sabrina

    Ciao Mery, grazie per il tuo commento. Come hai letto nel racconto, è sempre difficile lasciar liberi gli animali che abbiamo accudito. Ma poi è giusto così, è giusto che vivano la loro libertà se sono in condizioni per farlo. Alle volte restano per qualche tempo vicino alla casa ed è possibile che vengano a salutarci. In bocca al lupo! Un saluto

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